Il riscaldamento globale generato dall’uomo non è un’ipotesi per il futuro bensì un fenomeno già in atto. La temperatura della Terra è aumentata di oltre un grado Celsius nell’ultimo secolo, il 2018 è stato il quarto anno più caldo della storia a livello globale e il primo anno più caldo in Italia, Francia e Svizzera. La superficie terrestre coperta dai ghiacci perenni si riduce di circa 400 miliardi di tonnellate ogni anno e il livello del mare aumenta di 3,4 millimetri all’anno.
Il primo studioso a identificare il ruolo della combustione del carbon fossile sull’aumento di temperatura planetaria è stato il premio Nobel svedese Svante Arrhenius, insigne chimico che già nel 1896 pubblicò quella che allora era solo una teoria matematica. In seguito molti altri scienziati la confermarono: Guy Callendar nel 1938 dimostrò la tendenza all’aumento della temperatura, Charles Keeling nel 1958 iniziò misure sistematiche della CO2 atmosferica a Mauna Loa, nelle isole Hawaii, Syukuro Manabe nel 1967 elaborò il primo modello matematico dell’effetto serra antropogenico, Jules Charney nel 1979 coordinò il primo rapporto dell’Accademia delle Scienze degli Stati Uniti sui rischi del riscaldamento globale, e così via fino ad arrivare nel 1988 alla fondazione dell’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change delle Nazioni Unite che costituisce oggi il più autorevole gruppo di scienziati che ci mettono in guardia sui cambiamenti climatici.
E’ dal 1992 che a Rio de Janeiro fu firmata da quasi tutti i Paesi la Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui Cambiamenti Climatici (UNFCCC), che diede poi luogo al Protocollo di Kyoto (1997) e all’Accordo di Parigi (2015) per ridurre le emissioni climalteranti. Eppure gli sforzi della politica negli ultimi 20 anni non sono stati sufficienti e le emissioni di gas serra sono cresciute raggiungendo attualmente la concentrazione di CO2 di circa 410 parti per milione, il valore più elevato degli ultimi tre milioni di anni, noto attraverso i carotaggi dei ghiacci dell’Antartide e dei sedimenti marini.
Non sono solo numeri ma cambiamenti che già oggi condizionano la vita dell’uomo e che avranno un impatto sempre maggiore su miliardi di persone, soprattutto su chi vive nelle zone più povere del mondo, danneggiando la produzione alimentare e minacciando specie di importanza vitale, provocando eventi estremi più frequenti e intensi e favorendo l’instabilità dei già fragili sistemi sociali e la migrazione dei popoli in un pianeta destinato entro metà secolo a ospitare quasi 10 miliardi di persone.
Ovunque nel mondo si registrano siccità, incendi forestali, ondate di calore, alluvioni e fusione accelerata dei ghiacciai con frequenze che ormai non rientrano più nella normale variabilità climatica del passato.
Se non facciamo nulla ora per contenere l’aumento della temperatura entro 2 °C a fine secolo, il riscaldamento potrà oltrepassare i 5°C, con conseguenze gravissime sull’ambiente.
La Terra con la sua biosfera certo non morirà. Soffrirà, cambierà, evolverà, ma non scomparirà. A scomparire, però, potrebbero essere le condizioni ottimali per la vita umana, che potrebbe anche essere spazzata via dalla sesta estinzione di massa.
Viviamo in un momento cruciale della storia dell’umanità – l’Antropocene – in cui la presa di coscienza delle popolazioni, la posizione dei governi, la rivoluzione tecnologica delle energie rinnovabili e la scelta etica di consumi più moderati rappresentano l’unica possibilità di invertire una marcia che ci porta verso tempi ostili. Come sottolinea l’IPCC occorrono al più presto “misure senza precedenti”.
Luca Mercalli – Presidente Società Meteorologica Italiana